sabato 23 febbraio 2013

Guareschi, Stalin e una storia di baffi

Stalin
Giovannino Guareschi

















Non so in che modo questo mio sogno sia stato influenzato dal clima preelettorale, ma a me è capitato di sognare insieme Giovannino Guareschi, Stalin e la mamma e il papà del dittatore sovietico.
Andiamo per ordine. Nel sogno Guareschi sta disegnando una caricatura di Stalin (se non sapete chi sia stato Guareschi potete aggiornarvi su Wikipedia, oppure leggere in coda a questo post qualche riga che il vostro blogger ha pubblicato per il vostro diletto, se poi non sapete nemmeno chi sia stato Stalin significa che siete capitati su questo blog per sbaglio). 
Proseguiamo, dunque: Giovannino Guareschi sta disegnando, oltre alla caricatura del leader sovietico, anche la caricatura della mamma e del papà di Stalin. Tutti, mamma inclusa, con gli stessi baffoni del dittatore sovietico (baffoni che peraltro lo stesso creatore di Don Camillo e Peppone inalberava con fierezza, finendo un po’ per assomigliare al capo mondiale di quel movimento di cui fu irriducibile avversario). Nel sogno le caricature, con l’inconfondibile stile di Guareschi, sono ben presenti alla mia vista. Poi, sorpresa: arriva il vero Stalin. 
E che cosa fa il dittatore sovietico? Apostrofa Guareschi IN NAPOLETANO e gli dice: “Guagliò, troppe foto non ne tengo”. E io, nel sogno, ne deduco che evidentemente Guareschi aveva chiesto a Stalin alcune foto dei suoi genitori per realizzare le loro caricature. Il sogno è tutto qui. Ma io mi sono destato ridacchiando. E se sapessi disegnare come Guareschi sarei in grado di riproporre le caricature del Georgiano, della sua mamma e del suo papà. Tutti con i celeberrimi baffoni.

Qui, in un cinegiornale, Guareschi scherza sulla sua somiglianza con Stalin (la battuta è alla fine del filmato): http://www.youtube.com/watch?v=VOiRHJmYP9c



Ed ecco qualche nota su Guareschi (frutto di un libero copincolla dalla rete, NON si tratta di farina del mio sacco):

Giovannino Guareschi (Roccabianca, Parma 1 maggio 1908 - Cervia, Ravenna 22 luglio 1968) è stato un giornalista ed uno scrittore umorista italiano.
La sua creazione più famosa è Don Camillo, il robusto parroco che parla col Cristo dell'altare maggiore. Il suo antagonista è il sindaco comunista del piccolo paese di provincia, Brescello, l'agguerrito Peppone Bottazzi, diviso tra il lavoro nella sua officina e gli impegni della politica.

Ambito, corteggiato e osteggiato da diverse fazioni politiche - sia di destra che di sinistra - che hanno attraversato almeno trent'anni di storia italiana, Guareschi è stato prima di tutto il cantore della propria personale libertà di espressione.

Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (questo è il suo nome completo: Guareschi scherzava sempre sul fatto che un omone come lui fosse stato battezzato come "Giovannino") nacque in una famiglia di classe media. Nel 1926 la sua famiglia andò in bancarotta ed egli non poté continuare gli studi.

Dopo aver provato alcuni lavori assolutamente precari, iniziò a scrivere per un quotidiano locale. Nel 1929 divenne redattore della rivista satirica Corriere Emiliano e dal 1936 al 1943 fu redattore capo di una rivista destinata ad una discreta notorietà, il Bertoldo.

Durante la seconda guerra mondiale, Guareschi - penna pungente e pronta ad attaccare senza paura e reverenza i bersagli che più gli sembravano meritevoli di critica - mosse osservazioni al governo di Benito Mussolini. Nel 1943 venne arruolato nell'esercito, il che apparentemente lo aiutò ad evitare problemi con le autorità fasciste. Finì come ufficiale di artiglieria.

Quando l'Italia firmò l'armistizio con le truppe Alleate, si trovava sul fronte orientale e venne arrestato e rinchiuso in un campo di prigionia in Polonia e poi in Germania per due anni, assieme ad altri soldati italiani, gli IMI (Internati Militari Italiani). In seguito scrisse su questo periodo in Diario Clandestino.

Il "Candido"

Dopo la guerra, Guareschi fece ritorno in Italia e fondò una rivista satirica monarchica, il Candido. Dopo che l'Italia divenne repubblica, iniziò ad appoggiare la Democrazia Cristiana, principalmente a causa della sua profonda fede cattolica. Egli criticò e rese oggetto di satira i comunisti nella sua rivista: famosissime le sue vignette intitolate "Obbedienza cieca, pronta e assoluta", dove sbeffeggiava i militanti comunisti che lui definiva trinariciuti (la terza narice serviva a eliminare del tutto il cervello), i quali prendevano alla lettera le direttive che arrivavano dall'alto, nonostante i chiari errori di stampa. (Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: 'Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni insetti', contiene un errore di stampa e pertanto va letta: 'Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni inetti'.).

Nelle elezioni del 1948 Guareschi prese parte attiva contro i comunisti che insieme ai socialisti si erano alleati nel Fronte popolare. Molti slogan, come "Nella cabina Dio ti vede, Stalin no", uscirono dalla sua mente fervida. Anche dopo la vittoria della DC e dei suoi alleati, Guareschi non abbassò certo la sua penna: anzi criticò anche la Democrazia Cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata.

Guai giudiziari

Guareschi non si poteva certo definire una persona conciliante. Nel 1950 fu condannato con la condizionale a otto mesi di carcere nel processo per diffamazione all'allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che era da lui stato accusato di interesse privato nel promuovere i vini delle sue tenute.

Nel 1954 Guareschi venne nuovamente accusato di diffamazione per avere pubblicato sul Candido due lettere di Alcide De Gasperi (poi Primo Ministro nel dopoguerra) risalenti al 1944, nelle quali de Gasperi avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare Roma allo scopo di demoralizzare i collaboratori dei tedeschi. Le lettere in questione sono state ritenute dei falsi in un successivo processo giudiziario; ad ogni modo il processo riguardava appunto la diffamazione e Guareschi fu condannato a dodici mesi di carcere in primo grado.
Essendosi rifiutato di ricorrere in appello contro quella che lui riteneva un'ingiustizia, venne recluso nel carcere di Parma, dove rimase per 409 giorni, più altri sei mesi di libertà vigilata ottenuta per buona condotta. Sempre per coerenza, rifiutò sempre di chiedere la grazia.
Nel 1956 la sua salute si era deteriorata ed egli iniziò a trascorrere lunghi periodi in Svizzera per motivi di salute. Nel 1957 si ritirò da redattore del Candido rimanendo tuttavia un contributore della rivista fino al 1961. In quello stesso anno viene colpito da infarto e Rizzoli sospende le pubblicazioni di Candido. Continuò a collaborare a vari periodici e quotidiani (tra cui il rotocalco “Oggi” e il quotidiano “La Notte”) con disegni e racconti. Nel 1968 morì per un attacco di cuore.

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